Sant'Annibale Maria di Francia


Nato da una famiglia nobile messinese, scoprì prima la vocazione religiosa e poi il tremendo squallore in cui vivevano i poveri delle della sua città. Da qui la decisione di un impegno spirituale e materiale per le classi svantaggiate del suo tempo.

 

Padre Annibale Maria di Francia appartiene alla grande schiera dei santi sociali che, nel burrascoso periodo successivo all’Unità d’Italia, ebbero la fantasia e il coraggio di fare per il popolo quello che i governi tanto celebrati dalla storiografia risorgimentale non seppero (o non vollero) fare, soprattutto nel Mezzogiorno italiano.

Proveniva da una famiglia nobile: suo padre, il cavalier Francesco, marchese di Santa Caterina e capitano onorario di marina, era stato nominato viceconsole pontificio da Pio IX, mentre la madre, Anna Toscano, apparteneva alla nobiltà napoletana. In famiglia, la fede aveva un posto di rilievo e la madre fu la prima catechista dei propri figli; purtroppo rimase vedova a soli 23 anni con tre bambini da allevare e un quarto che sarebbe venuto al mondo pochi mesi dopo. A sette anni (era nato il 5 luglio 1851), Annibale fu messo nel collegio di San Nicolò dei Gentiluomini, tenuto dai Cistercensi, dove di solito studiavano i rampolli della Messina-bene.

Nel 1866, dopo la decisione governativa di sopprimere gli ordini religiosi e di incamerarne i beni, Annibale proseguì gli studi come privatista, sotto la guida di Felice Biscazza, un poeta messinese che intuì subito il non comune talento letterario dell’allievo incoraggiandolo a comporre versi. Ma si trovò a suo agio anche nei panni del giornalista allorché uno zio prete, don Francesco Toscano che dirigeva La parola cattolica, gli propose di scrivere su questo periodico in difesa della fede e dei diritti della Chiesa (si era nel pieno della "Questione romana").

La prima svolta nella vita di Annibale avviene sui diciott’anni. Vestiva con eleganza, giocava a scacchi, andava spesso a caccia secondo i canoni della buona società, dove tra l era richiesto come abile conversatore e poeta (confesserà anni dopo che aveva cominciato a comporre versi all’età di nove anni). Tutti ingredienti per un futuro brillante quando, improvvisamente, decide di farsi prete: «La mia vocazione - , scriverà più tardi, - ha avuto tre qualità. Fu improvvisa: per quanto amassi la vita devota, in quel tempo di massoneria e di liberalismo imperante, non pensavo certo alla vita ecclesiastica. Fu irresistibile: sentivo che non potevo sottrarmi alla grazia; dovevo assolutamente cedere. Sicurissima: ero assolutamente certo che Dio mi chiamava, non potevo minimamente dubitare che il Signore mi indicava quella via».
Ne parlò col fratello Francesco, il quale ne fu talmente entusiasta che decise di imitarlo: infatti, l’8 dicembre 1869 entrambi vestirono la talare. Quel giorno a Roma Pio IX apriva il Concilio Vaticano. Inizialmente la madre non era d’accordo poi ragionò secondo la fede: «Se Dio vi chiama, - questo il suo commento dopo essersi consultata col suo confessore, - non sarò certo io a oppormi ai suoi disegni». Unica condizione da lei posta fu che prima dell’ordinazione Annibale conseguisse il diploma di maestro. Il che avvenne nell’agosto 1870. Dopo il normale curriculum di studi, Annibale riceve il diaconato il 26 maggio 1877.

Quando mancano una decina di giorni al sacerdozio, avviene l’incontro decisivo per il suo futuro, che determinerà la scelta di campo a cui sarà fedele fino alla morte. Il 3 marzo 1878 si imbatte in un giovane cieco che chiede l’elemosina. Mette mano al portafoglio e dà generosamente come sempre. Potrebbe andarsene, ma sente che quella buona azione non gli basta: dietro quel ragazzo egli intravede una schiavitù di massa che nessuna elemosina è in grado di vincere. Il cieco (che poi si rivelerà tale soltanto in parte) si chiama Francesco Zancone e abita alle "case Mignuni", nel malfamato quartiere di Avignone. Alla domanda «Vai in chiesa, reciti le preghiere? - risponde: - E chi me le insegna?». Il diacono Annibale va a vedere dove vive e scopre un quadrilatero di catapecchie intersecate da vicoli senza sbocco, un covo di miserabili: «Vi abitava - , scriverà, - gente oltre ogni dire misera e abbietta, le più svariate condizioni di povertà, miste con le sue tristi molteplici conseguenze - la nausea, le malattie, l’accattonaggio, l‘avvilimento lo squallore e tutte le sorti di privazioni erano raccolte a formare uno spettacolo di orrore e di compassione… Vi erano bambini piangenti, succhianti invano le smunte poppe delle povere madri; vecchi cadenti ed estenuati da lunghi digiuni, uomini e donne colpiti da malattie agli occhi, mutilati nelle membra o invalidi al lavoro; fanciulle esposte per la fame ai più gravi pericoli. Dormivano, o meglio penavano, sulla nuda terra inzuppata di umido».


Vecchia immagine del quartiere Avignone di Messina, povero e malfamato.

Una vecchia foto del povero e malfamato "quartiere Avignone" di Messina in cui il giovane Annibale scoprì la propria vocazione


Da 40 anni Avignone era la vergogna di Messina. E qui il diacono scopre il suo campo di azione, «un pezzo di terra maledetta, abitata da un branco di bestie umane», per usare un delle sue efficaci "pennellate". Una sorta di favelas brasiliane ante litteram. In quell’Italia, soprattutto in quel Mezzogiorno, vi dominavano arretratezza, analfabetismo, decadenza religiosa, sottosviluppo, assenza di industrie, scarsa produttività agricola e fortissime disuguaglianze sociali.

In Sicilia i braccianti erano costretti a lavorare 14 ore al giorno con salari da fame. Un giorno i "signori" riuniti a Caltagirone, arrivarono a chiedere a Giolitti di abolire l’obbligo scolastico per i poveri «perché», dicevano, «l’istruzione minaccia di sconvolgere l’ordine (!) economico e sociale». Scriverà al riguardo Annibale: «Da più tempo la giustizia e la carità pare siano state bandite dal mondo. I sublimi insegnamenti del Vangelo, in cui si racchiude il vero Socialismo (sic!) e che comandano di amarci tutti come veri fratelli, di fare agli altri quello che vorremmo fosse fatto a noi, sono stati dimenticati e calpestati… È venuta l’ora della reazione operaia!». C’è qui la motivazione di fondo della proposta liberatrice di Annibale Di Francia. Quasi contemporanea alla sua, si leverà da Caltagirone un altra voce profetica a difesa della giustizia sociale, quella di don Luigi Sturzo.

Pochi giorni dopo la sua visita al ghetto di Avignone, il 16 marzo 1878, Di Francia viene ordinato sacerdote. Con l’incoraggiamento del suo vescovo comincia la sua azione di bonifica: «Sono qui per realizzare il Regno di Dio», dice in risposta alle critiche dei benpensanti che, vedendolo mischiarsi ai pezzenti, arriveranno a definirlo «il disonore della famiglia e della classe sacerdotale». Affitta una catapecchia e vi colloca i più malandati del rione, dando loro un letto pulito, abiti decenti, del cibo, la possibilità di lavarsi. La sua è una riforma radicale: gli infermi vanno curati, ma chi può lavorare deve collaborare, essere protagonista della propria riabilitazione. Così nei locali compaiono deschetti da calzolaio, arnesi e banconi da falegname, stoffe e filo per le donne.


Un gruppo di ragazzi orfani impegnati in sartoria.

Alle origini delle fondazioni di Padre Annibale Di Francia: un gruppo di ragazzi
orfani impegnati in sartoria


Nel 1882 nasce il "Piccolo rifugio" per ragazze orfane e abbandonate; l’anno dopo pensa ai ragazzi, che egli rieduca col metodo di don Bosco basato su ragione, religione e amorevolezza. Poi sarà la volta degli anziani, degli storpi e degli handicappati. Per pagare le spese bussa alla porta delle famiglie ricche, del Comune e della Provincia. I massoni gli negano i sussidi, e non tutti nelle fasce alte della città e nella Chiesa lo capiscono, anzi storcono il naso quando apprendono che a volte questo prete si priva anche delle scarpe per darle ai poveri: «Torni a fare il canonico, dia retta a me», gli dice il vescovo che pure prima lo aveva incoraggiato. Lui preferisce dar retta a Dio. Scriverà questi versi eloquenti su questa amara esperienza:

«Spesso ho battuto a ferree porte invano;
atroce è stata la sentenza mia:
- Via di qua l’importuno, egli è un insano:
sconti la pena della sua follia!».

La bonifica prosegue con le scuole popolari e i laboratori artigiani. Don Annibale arriva a proporre al Governo che si dia ai mendicanti un "assegno vitalizio" (l’odierna pensione sociale). Trova quasi subito dei collaboratori e collaboratrici, ma alcuni, superato l’entusiasmo iniziale, lo abbandonano. Proprio questo lo spinge a cercare altrove aiuti validi e anche stavolta l’ispirazione gli viene dal Vangelo, dove Gesù afferma: «La messe è molta, gli operai pochi. Pregate (Rogate, in latino) il padrone della messe perché mandi operai».
Ecco la soluzione del problema: fidarsi solo degli uomini è rischioso, meglio rivolgersi direttamente al "Padrone" della messe. Qui sta l’essenza del carisma del Di Francia fondatore: nascono infatti due congregazioni che hanno come divisa questo verbo evangelico:Rogate, pregate. E non soltanto il "Padrone", ma anche i santi che sono i grandi amici dell’uomo: padre Annibale valorizza così un patrimonio prezioso della religiosità meridionale, instaurando con Dio e coi santi un rapporto confidenziale che dà la certezza di essere ascoltati: ed ecco che san Giuseppe viene nominato "cofondatore" e sant’Antonio di Padova "benefattore insigne" dei suoi istituti (è a Messina, tra l’altro, che nel 1887 nasce la devozione del "pane di sant’Antonio"). E accanto a loro Luigi Gonzaga, Veronica Giuliani, Francesco di Sales, oltre a quelli che lui chiama la sua "corte in paradiso" (gli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, e Domenico, Francesco d’Assisi e Francesco di Paola, Francesco Saverio, Alfonso de Liguori).

Il 18 marzo 1887 le prime quattro "Figlie del Divino Zelo" indossano l’abito religioso; dieci anni dopo faranno la stessa cosa i primi tre "Rogazionisti del Cuore di Gesù". Mentre un vicario generale lo perseguita, minacciando addirittura di sciogliere le due congregazioni, altri sacerdoti lo incoraggiano: Don Orione, Padre Giacomo Cusmano, Padre Ludovico da Casoria, Don Bosco, il quale gli suggerisce di servirsi della stampa (e lui fonda il periodico "Dio e il prossimo" che raggiungerà con gli anni l’astronomica tiratura di 700 mila copie!).
Rogazionisti e Figlie del Divino Zelo emettono un "quarto voto": quello di pregare e di impegnarsi con ogni mezzo per suscitare vocazioni ardenti e generose nella Chiesa. I Pontefici incoraggeranno padre Di Francia e Benedetto XV si definirà addirittura il "Primo Rogazionista" . Il tragico terremoto che a Messina il 28 dicembre 1908 fece circa 80 mila morti lo costringerà a spostare temporaneamente le sue opere in Puglia, a Francavilla Fontana e a Oria. Ma le due congregazioni conosceranno ugualmente una grande espansione.

Nel febbraio 1927 le condizioni di salute di padre Annibale si aggravano. All’amico don Orione scrive: «Si fanno molte preghiere per me, misera creatura; ma io ne ho ceduto i nove decimi ai sofferenti come me, i quali non hanno gli aiuti e l’assistenza che ho io». Ancora una volta dalla parte degli ultimi. Questo gigante della carità muore il 1° giugno di quello stesso anno, nella casetta di "Fiumara Guardia", alla periferia di Messina.

I funerali si svolsero il 4 Giugno e tutta Messina scese in strada per l’ultimo saluto.

Il 16 Maggio 2004 il Papa Giovanni Paolo II lo ha iscritto nell’albo dei Santi .

La festa liturgica di Sant’Annibale Maria Di Francia si celebra il 1 Giugno.

 

[ Il presente testo è stato tratto dall'articolo di Angelo Montonati: Annibale Maria di Francia, Don Bosco di Sicilia ]

 

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